Recensioni | Pubblicato il 29 giugno 2015

Leftfield
Alternative Light Source
Genere: Prog House, Elettronica
Anno: 2015
Casa Discografica: Infectious Records
Servizio di: Daniele Giorgietti
Ho sempre trovato un pò cinematografico il fenomeno del “letargo” produttivo. Third dei Portishead uscì a distanza di più di dieci anni dal precedente LP della band; Tomorrow’s Harvest dei Boards of Canada fece attendere otto primavere prima di essere presentato; più di recente è toccato ai Blur.
Lunghi ritiri ascetici, sonni profondi in silenziosi dimenticatoi; dopo epoche passate su migliaia di manifesti appesi per il centro di metropoli come Londra, questi eroi dei palchi di tutto il mondo svaniscono pian piano, per poi rispuntare fuori e catturare l’attenzione di quelle platee che per anni erano rimaste ad aspettarli.
Saranno nuovamente all’altezza dopo tanto (troppo) tempo? Se già non è un compito facile per chi produce con continuità, figuriamoci quando è passato un decennio o più dal precedente tentativo discografico.
Oggi abbiamo la chance di raccontare una storia a lieto fine, quella di Neil Barnes che ha rispolverato il marchio Leftfield ed è giunto nel 2015, a ben 16 anni di distanza dal precedente Rhythm and Stealth, alla pubblicazione di un nuovo LP di inediti: Alternative Light Source. Paul Daley, altra metà del gruppo, ha deciso di non ricongiungersi per la gestione di questo progetto, confermando un clichè già visto in qualche pellicola precedente (si veda alla voce LFO, con il compianto Mark Bell).
La formula del duo era quasi imprescindibile per il successo delle band elettroniche dei primi anni ’90 (Orbital, i primi Orb, Two Lone Swordsmen) e il segreto dei Leftfield forse stava proprio nell’accoppiata Daley/Barnes. Ciononostante, il secondo non si è lasciato spaventare dall’abbandono del vecchio compagno di avventure e come una sorta di Blues Brother figlio unico, anche senza aver rimesso insieme la band, è riuscito oggi in un’impresa degna di una sceneggiatura.
Alternative Light Source infatti riapre uno scrigno impolverato finito in soffitta. È qui che erano andati perduti nel tempo la prog house di “Song of Life”, simbolo dell’elettronica anni ’90 (riproposta in un’aggressiva “Universal Everything”), le atmosfere di “Rino’s Prayer” (“Dark Matters”, “Storm’s End”), quella congiunzione tra pianeta house e forma canzone classica (con i vocals prestati da Tunde Adebimpe in “Bad Radio” e Channy Leaneagh in “Bilocation”) che proprio i Leftfield formalizzarono a metà anni ’90, attirando l’attenzione del pubblico rock e pop. Non mancano infine un tocco di Dub (“Head and Shoulders”) e detonazioni ritmiche vecchia maniera (“Little Fish”, “Shakers Obsession”) da far invidia ai più giovani Modeselektor.
In ogni sua deriva ci troviamo di fronte ad un album dove non c’è spazio per il minimalismo e sicuramente c’è pochissima novità, ma comunque non mancano, ed anzi sono un vero toccasana, il ritmo prorompente, le sonorità solide e compatte; Personalmente poi, come se stessi degustando un vino, ci sento uno spirito, a volte, ancora afro, ispirato a mondi lontani dalla Gran Bretagna caotica; come nel capostipite Leftism infatti, si percepisce una fonte d’ispirazione derivante dal continente nero: non sta tanto nella più immediata selezione delle percussioni, quanto nell’inflessione ambient e dub, nella scelta e nell’amplificazione dei bassi o nelle vocalizzazioni di alcuni dei collaboratori (Ofei e Adebimpe in primis). L’introduzione di “Bad Radio” accompagnerebbe armonicamente un’alba sulla savana.
Sorgono spontanee diverse domande sulla forma Leftfield ridotta ad una sola unità. Come accennato, non c’è tanta novità in questo disco, anzi. L’elettronica ha passato decisamente periodi molto più proficui in termini di contaminazioni innovative; ad oggi le redini del processo di miglioramento del genere sembrano rimaste in mano a pochi (John Hopkins, Andy Stott). Per quanto Leftism fosse decisamente un album in grado di cambiare i paradigmi dell’house all’epoca e Rhythm and Stealth invece fosse più sottotono, anche in quest’ultimo spiccava qualche iniziativa più audace (la splendida “Swords”). Che fosse Daley dunque, l’anima più antesignana del duo? E che sia la sua assenza dallo studio di registrazione a non aver concesso di azzardare qualcosa in più? Potrebbe essere uno spunto da approfondire, ascoltando il lavoro che Daley stesso sta portando avanti in solitudine.
Nonostante le elucubrazioni, Alternative Light Source si sente, è presente, è vivo più che mai. E allora questo bel film si chiude con una serie di concerti epocali tra O2 Academy e Albert Hall di Manchester rigorosamente sold out. E vissero felici e contenti.
Tecnica soprattutto, ma anche cuore, saggezza teorica vecchia di vent’anni e una pratica impeccabile: ascoltare Alternative Light Source è come vedere il vecchio maestro Yoda riprendere in mano la spada laser e lanciarsi in un combattimento furente nonostante l’età e le rughe verdastre. I signori (il signor?) Leftfield hanno (ha?) fatto lo stesso: a distanza di quasi trent’anni dal loro esordio non hanno nulla da invidiare ai giovani producers di oggi, anzi, forse hanno ancora tanto da insegnare ai futuri Jedi dell’electro.
Tracklist:
- 1 · Bad Radio
- 2 · Universal Everything
- 3 · Bilocation
- 4 · Head and Shoulders
- 5 · Dark Matters
- 6 · Little Fish
- 7 · Storms End
- 8 · Alternative Light Source
- 9 · Shaker Obsession
- 10 · Levitate for You