Recensioni | Pubblicato il 2 dicembre 2014

Andy Stott
Faith In Strangers
Genere: avant-electronica, tech-industrial
Anno: 2014
Casa Discografica: Modern Love
Servizio di: Marco Pettenati
Andy Stott da Manchester. Già solo il nome nonchè moniker, nel ricordo della splendida precedente seconda prova, mette agitazione, positiva, ma anche un po’ di tremarella. E l’autorevole ouverture “Time Away” promette davvero bene. Suoni sinfonici e ariosi preparano il terreno a qualcosa di grande, si avverte sottopelle. “Violence” rispetta le aspettative in pieno: un accordo sintetico e virale irrompe nei silenzi imposti dal suo demiurgo mentre la voce celeste della maestra di piano Alison Skidmore (la stessa del precedente impressionante disco) colloquia col vuoto con poche sussurrate parole in odore di post-soul, arrivano poi altre presenze ingombranti, fatte di ritmiche agghiaccianti e industrializzanti.
Siamo ancora dalle parti del primo disco, niente viene davvero smentito, anzi tutto è ampliato ulteriormente verso una rigida, seppur desaturata, apocalisse. “On Oath” allunga la sensazione di smarrimento imposto verso fragili elucubrazioni vocali e stentoree palpitazioni elettroniche, qualcosa sta emergendo gradualmente in un magmatico, sordo, crescendo: è come il battito innaturale della natura primordiale sotto forme a noi sconosciute. “Science and industry” si proclama con una primitiva ritmica analogica, elementare quanto efficace substrato a una melodica canzone d’amore post trip-hop (mi si passi il termine audace). “No Surrender” irrompe prepotente coi suoi scintillanti accordi, dispotica sequenza di cristalli anamorfici prima, tablas metalliche accompagnate da sbuffanti stantuffi; ellissi polifoniche che invitano alla tranquilla perseveranza in mutazione progressiva di “How it Was”: multiforme assioma di pulsioni pneumatiche sbandate e sospiri in controtempo, vibrazioni comprese. Metalliche sciabolate in ritmi aritmici su una struttura bigbeat (“Damage”), minimalismi in crescendo ambientale su secche ritmiche in atmosfera alt-jazz (“Faith in Strangers”) e poi ancora, per concludere, (“Missing”) minimalismi enfatici che rimembrano altre vite lisergico-sintetiche direttamente da universi paralleli o secanti con qualche parola buttata lì a ricordare l’esistenza di organismi senzienti all’interno di un disco davvero spettacolare, se per spettacolo si intenda qualcosa d’altro della normale accozzaglia di banalità gratuite fornite da artisti in odore di santità. Io preferisco quelli in mancanza di sanità mentale, se gli effetti collaterali danno questi risultati.
Non fa rimpiangere nulla del suo già fatto quest’altra opera d’arte elettro-industriale del sound designer britannico.
Voto: 7,7/10
Tracklist:
- 1 · Time Away
- 2 · Violence
- 3 · On Oath
- 4 · Science & Industry
- 5 · No Surrender
- 6 · How It Was
- 7 · Damage
- 8 · Faith in Strangers
- 9 · Missing