Recensioni | Pubblicato il 24 agosto 2012

Mirel Wagner
Mirel Wagner
Genere: Folk, Blues
Anno: 2014
Casa Discografica: Bone Voyage Recording / Friendly Fire
Servizio di: Nicola Orlandino
C’è un modo di fare musica semplice così in disuso che è diventato anche complicato da interpretare. Sto parlando di quella musica che non comprende altro che una chitarra, una voce e un testo a cui dare spessore. Nella complessità della scena moderna un disco così essenziale può sembrare fuori epoca e addirittura banale se non si sfruttano al massimo quei pochi mezzi a disposizione.
E Mirel Wagner quando ha composto il suo omonimo disco di debutto deve aver avuto le idee molto chiare rispetto a tutto ciò, riuscendo a sfornare una piccola perla, scarna, priva di fronzoli ma che per le orecchie dell’ascoltatore pesa come un macigno sul resto del corpo, parti tangibili e non.
Mirel Wagner nasce in Etiopia, ma cresce in Finlandia. Sin da piccola mette in evidenza il suo talento nella scrittura e un particolare apprezzamento per il folk e il blues, “guardando” alle origini. Il disco è tendenzialmente privo di evoluzioni o “colpi di scena”: c’è la chitarra, molto dosata e minimale, suonata magnificamente; c’è la sua voce calda ma trattenuta, graffiante e malinconica che fa da racconto a storie e argomenti che girano al tema dell’oscurità e la morte. Non è facile realizzare un album cosi semplice all’apparenza, anche perché l’intensità emotiva che sprigiona è frutto di un gran lavoro di tecnica e scrittura della cantautrice finladese, che riesce a valorizzare ogni singola parola che pronuncia, da questo punto di vista paragonabile al disco di Josh T Pearsondell’anno scorso, anche se musicalmente vi sono alcuni punti di divergenza.
L’album è uscito per l’Europa nel 2011 per la tedesca Bone Voyage Recordings (già produttrice dei 22 Pistepirkko e Joensuu 1685) e quest’anno per la Friendly Fire (nel cui catalogo spiccano Asobi Seksu e Treefight for Sunlight).
Si comincia con “To The Bone”, nella quale si respira un’aria già rarefatta e dove si può notare il gusto per il minimalismo acustico: un racconto doloroso di un amore finito che culmina nelle parole “but your love drags me down/ like the clothes/ when you swim/ down deeper down/ like the roots of old trees / my heart has no home / you’ve bruised me to the bone”. “The Well” è più distesa, più “piena” e in qualche modo la voce si addolcisce, anche se si parla di una madre persa (“a shadow swallows my reflection mother I see nothing at all ).
Ripiomba uno stato d’inquietudine con “No Death” (ripugnante scena di un necrofilo e un corpo in decomposizione), uno dei pezzi più forti e pesanti dell’album; in “No Hands”, che racconta l’ingenuità di un bambino che non vede il pericolo di andare in bici senza mani sul manubrio, e qui si può notare meglio il suo stile con la ripetizione costante di piccoli periodi fatti di brevi accordi di chitarra. Anche in “Red” e la straziante “Joe” - che più di tutti evocano lo stile del primoCohen - si ripete lo stesso, ma l’andamento è meno cristallino e segue il “precipitare” della sua voce, dolce e sofferta allo stesso tempo. “Despair” non si discosta dagli schemi precedenti, mentre “Dream” va a raccogliere tutta la passione della Wagner per il blues : è il pezzo che più di tutti si discosta da quelli ascoltati sinora, anche per l’utilizzo della voce, che risulta quasi indemoniata. Chiude il disco, “The Road”, quadro efficace e desolante della solitudine.
Un disco difficile da ascoltare, la cui grandezza risiede nella sua sobrietà e — anche se può sembrare ripetitivo — è comunque capace di smuovere intere montagne di anime e scavare così a fondo da creare enormi voragini. Una vera rivelazione che scardina il senso del tempo.
Voto: 7,5/10
Tracklist:
- 1 · To The Bone
- 2 · The Well
- 3 · No Death
- 4 · No Hands
- 5 · Red
- 6 · Despair
- 7 · Joe
- 8 · Dream
- 9 · The Road