Recensioni | Pubblicato il 18 novembre 2014

Grouper
Ruins
Genere: Avant-Folk, Drone
Anno: 2014
Casa Discografica: Kranky Records
Servizio di: Marco Pettenati
Liz Harris, come sempre, disegna la sua musica nel modo a lei più naturale, senza fronzoli e cogliendo il momento più idoneo alla creazione della stessa; il carpe diem, offerto stavolta da un breve soggiorno in Portogallo, viene immortalato utilizzando un “misero” mixer quattro piste, un microfono e un pianoforte. Attrezzatura semplice come la sua musica, che scaturisce da un urgente bisogno e nasce (e muore, simbolicamente) nel tempo di un battito di ciglia, nell’arco di una vita artistica che si rinnova tutte le volte, come fosse la prima volta.
Le rovine simboliche (ma anche materiali) che la circondano, nell’estate di tre anni fa, tra il silenzio delle alte falesie interrotto solo dal grido spettrale delle colonie marine di uccelli in riva all’oceano, liberano la introversa vena creativa della “cernia” con il consueto minimalismo, accentuata dalla mancanza assoluta di “fruscii” d’accompagnamento e piuttosto distante dalle abituali frequentazioni lo-fi droniche. Tuttavia una semplicità estrema che le restituisce gli abiti dismessi da folk-singer come mai prima di allora e di adesso. La manciata di canzoni diventa oggetto di un’ascolto dettagliato per rintracciare, tra le rade note, le sfumature più intime: sembra – è – frutto di una (ennesima) malinconica disamina interiore. Ma la fata di Portland, nel suo percorso zizzagante, non scade mai in banalità da sofferenza autoimposta, anzi sembra assaporare la catarsi, prima del metallo e al termine dell’aria, mantenendo nel mezzo tutte le sensazioni avvertite nel breve ma intenso suo girovagare per metterle in musica in poche, centellinate, note.
Ecco cosa traspare, imperiosa, nella sua semplicità, nella sua voce appena udibile ma dalla forza immensa: la bellezza spontanea come modo di essere, come modo di esistere tra labirinti, abitazioni, acque e altro, invisibile ai più. Due brumose strumentali, “Labyrinth” e “Holifernes”, aumentano la già insistita sensazione di precarietà – e di bellezza -, un paio di episodi svettano per la loro minimale perfezione (“Clearing” e “Call Across Rooms”), c’è perfino una celata citazione a Enya (e il suo new celtic age d’antan) in “Lighthouse”. Il tratto finale “Made of Air” , avulso dal contesto, è una traccia del 2004, serve a riportarci alla reale sostanza che Grouper cerca di instillare alla sua musica, reale e spettrale compendio di virtuosismo vero, sfrondato dai cerimonialismi e intriso di sostanza densa quanto invisibile, la cui misteriosa provenienza sembra essere frutto di un rituale antico e sconosciuto, ma non andato perso del tutto, per fortuna sua e… nostra.
Voto: 7,5/10
Tracklist:
- 1 · Made of Metal
- 2 · Clearing
- 3 · Call Across Rooms
- 4 · Labyrinth
- 5 · Lighthouse
- 6 · Holifernes
- 7 · Holding
- 8 · Made of Air